Della condizione dei giovani italiani si discute ormai da anni, sui giornali, sui social, in televisione, al bar, ovunque. I dati Istat descrivono una realtà estremamente difficoltosa, per non dire allarmante: la disoccupazione giovanile è oltre il 33%, questo significa che più di un giovane su tre è attualmente senza lavoro. Senza lavoro, dunque senza futuro. Perché il problema è proprio questo, attualmente, per i giovani italiani: l’assoluta mancanza di prospettive, unita all’esistenza di una sempre più pervasiva incultura del lavoro che ormai, come fosse un dogma incrollabile, spinge i giovani ad accettare – per costrizione – qualsiasi ignobile compromesso al ribasso, qualsiasi proposta indicente al limite dello schiavismo, per non essere bollati come “choosy” o “bamboccioni”. E non esiste più alcun tipo di remore, nel 2017 troviamo perfino chi riesce a sostenere che il mettere in palio uno stage di un mese in cambio dell’acquisto di una borsa possa essere considerata una pratica assolutamente ragionevole. Insomma, una proposta è solamente una proposta, basta non accettare. Il problema è che nel corso degli anni, il numero di queste proposte inaccettabili è cresciuto in maniera così esponenziale da renderle paradossalmente accettabili.
Accettabili per coercizione, perché è ormai quasi impossibile trovare offerte di lavoro che non siano disumane. Come fossero alla ricerca del Sacro Graal, o del famigerato ago nel pagliaio, alla fine, stremati dal dover costantemente recitare il ruolo del Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento, i giovani finiscono per trovarsi costretti ad accettare qualsiasi tipo di proposta, per poter sopravvivere. Pochi giorni fa, criticando il concorso di Carpisa, ho lanciato una provocazione: “Finiremo per trovare normale prostituirci in cambio di un’occupazione?”. Beh, io pensavo fosse una provocazione, in realtà qualcuno è arrivato a chiedermi cosa ci sarebbe stato di male nel chiedere sesso in cambio di un posto di lavoro. Sarebbe una proposta come un’altra. Una proposta non fa del male a nessuno, si può sempre rifiutare. Quindi sì, molto probabilmente arriveremo a ritenere accettabile anche questo tipo di offerta di lavoro, non è un’ipotesi poi così provocatoria o recondita.
Non solo lo stage in cambio dell’acquisto di una borsa, in Italia si assiste a continue offerte lavorative denigranti e squalificanti, presentate però come grandi opportunità. Sul portale Garanzia Giovani, il programma finanziato con soldi pubblici che dovrebbe aiutare i giovani a inserirsi nel mondo del lavoro, si possono trovare una marea di offerte di stage sottopagati per fare gli spazzini, i camerieri, gli “autolavaggisti”, le pulizie. Un problema di scarso controllo? A giudicare dal tenore delle offerte lavorative presenti anche su altri motori di ricerca non associati al programma Garanzia Giovani, è in realtà un trend ben evidente: il tirocinio non è più considerato uno strumento utile a formare una risorsa da introdurre nel mondo del lavoro, ma un’opportunità che le aziende sfruttano per abbattere il costo del lavoro. E di tirocinio in tirocinio, si finisce per arrivare a essere ancora privi di autonomia e prospettive a 30 anni, esausti.
Da anni perdiamo tempo a domandarci come mai i giovani italiani preferiscono scappare dal proprio Paese, abbandonando tutto, per andare a cercare fortuna all’estero, quando in realtà la risposta a questa domanda è ben nota, solo assolutamente ignorata. Anzi, spesso, il più delle volte riusciamo a dare la colpa a quegli stessi giovani che mettiamo in fuga. Come riportato da Ilvo Diamanti, che pochi giorni fa è tornato ad analizzare la condizione dei giovani italiani dalle colonne di Repubblica:
Circa 2 italiani su 3, infatti, come abbiamo scritto altre volte (commentando le indagini di Demos- Coop), sostengono che ‘per i giovani che vogliano fare carriera, l’unica speranza è andarsene’. Fuori dall’Italia. Ed è ciò che fanno, ormai da anni. In generale, emigrano dall’Italia oltre 100 mila italiani, ogni anno. Per capirci, negli anni 90 il flusso annuale era intorno a 30 mila. A differenza del passato, però, oggi non se ne va la forza lavoro. Se ne vanno i giovani. Soprattutto i più istruiti. I più qualificati. Circa 3 su 4, in possesso di un titolo di studio. Secondo il Censis, quasi 9 su 10 di essi sono laureati. Si dirigono prevalentemente in Europa. Soprattutto in Germania e nel Regno Unito. Ma anche in Francia, Austria, Svizzera. Insomma: altrove. Perché altrove trovano occasioni di impiego migliori rispetto a qui.
Scrive ancora Ilvo Diamanti:
Più in generale, come ha sostenuto ieri Ferdinando Giugliano su queste pagine, “il principale aumento delle disuguaglianze, in Italia, negli ultimi vent’anni, è stato quello fra giovani e anziani”. Non per caso. Metà degli iscritti ai sindacati confederali, infatti, sono pensionati. Mentre la maggioranza degli elettori dei partiti di governo (in particolare di centro- sinistra) è composta da persone anziane. Comunque, (molto) adulte. È difficile immaginare che le politiche sociali possano privilegiare i giovani piuttosto che gli anziani. Tutelare i nuovi lavori e lavoratori piuttosto che i pensionati. E i lavoratori già occupati. Che ambiscono (comprensibilmente) ad andare in pensione prima. Mentre, secondo oltre 8 italiani su 10 (Demos-Coop, aprile 2017), “i giovani d’oggi avranno pensioni con cui sarà difficile vivere”.
Una fotografia impietosa. L’Italia forma giovani menti – richieste, corteggiate e lusingate all’estero – che non è in grado di trattenere, promuovere, valorizzare. Complice il fatto che, ormai, a causa dell’inesorabile invecchiamento della popolazione, di giovani in Italia ne sono rimasti ben pochi, la politica preferisce investire sulla maggioranza degli elettori italiani, gli anziani. Non è un caso che l’agenda politica ruoti sempre intorno al tema delle pensioni, all’aumento degli importi all’aumento della platea degli aventi diritto alla quattordicesima pensionistica, all’anticipo pensionistico, al blocco dell’adeguamento dell’età pensionabile con l’aspettativa di vita.
Gli investimenti maggiori, nel corso degli ultimi trent’anni circa, hanno interessato sostanzialmente quella fetta di popolazione che è fuori, o sta per uscire, dal mercato del lavoro: gli anziani. E alla politica interessano perché sono banalmente molto più numerosi dei giovani. Il problema è per che queste continue agevolazioni introdotte a favore del segmento 65+ qualcuno prima o poi dovrà pagare il conto e questo conto, immancabilmente, lo pagano e lo pagheranno gli attuali e futuri giovani, tutto peserà sulle loro spalle, esattamente come il sistema pensionistico retributivo in vigore fino al 1995 – che ha creato una fortissima sperequazione intergenerazionale – lo stanno pagando ora le giovani generazioni, rimaste al palo causa cieca .