E così, siamo finalmente arrivati al dunque: il prossimo 18 maggio, dopodomani, l’Italia riparte, o almeno ci prova. La comunicazione ufficiale è arrivata dopo giornate estremamente convulse, tra voci di corridoio che si rincorrevano e le veementi proteste di commercianti e imprenditori di ogni settore economico. A meno di 48 ore dalla riapertura del Paese, il presidente Conte ha indetto una conferenza stampa alla presenza di giornalisti in carne e ossa e ha annunciato che da lunedì quasi tutte le attività economiche potranno ritirare su la saracinesca e ricominciare a lavorare, con un preavviso decisamente modesto per una comunicazione che oltretutto arriva dopo settimane di diatribe e richieste di informazioni da parte di imprenditori, associazioni di categoria e lavoratori che desideravano sapere per tempo come e quando avrebbero potuto riaprire le proprie attività in sicurezza, dopo oltre due mesi di lockdown.
Ma non è tanto il colpevolissimo ritardo dell’annuncio a scandalizzare, a questo Conte ci ha purtroppo abituati in queste settimane di emergenza. A lasciare senza parole sono le inconcludenti risposte che il presidente del Consiglio ha dato alle sacrosante domande dei giornalisti presenti alla conferenza stampa, due in particolare. La prima, avanzata da un giornalista di Rtl 102.5, relativa alle pesanti carenze che l’Italia (e alcune Regioni in particolare come la Lombardia, aggiungo io) presentano in relazione al fondamentale piano di tracciamento dei contagi che la comunità scientifica da tempo richiede, ritenuto il fondamentale tassello per una ripartenza in reale condizione di sicurezza, seppur in presenza di un rischio che, ovviamente, non potrà mai essere azzerato completamente in assenza di un vaccino. Successivamente, un giornalista di Fanpage.it ha chiesto al premier in che modo sono state decise le riaperture annunciate per lunedì in assenza dei dati del monitoraggio epidemiologico che le Regioni tutte avrebbero dovuto far pervenire al ministero della Salute e che, invece, alcune hanno inviato solo poche ore prima della conferenza stampa.
Le due domande hanno in comune un dettaglio: a entrambe Conte ha replicato facendo bene intendere di non sapere assolutamente cosa sia e come funzioni il piano per il tracciamento dei contagi che gli scienziati reputano così fondamentale. Ha balbettato di 150.000 test sierologici in acquisto, di 150.000 test sierologici che a breve verranno effettuati ad altrettanti cittadini sulla base di un campionamento predisposto dall’Istat, dell’arrivo imminente dell’app Immuni, che però sta accumulando ritardi su ritardi perché non esattamente esente da problematiche tecniche e di privacy, e ha replicato stizzito ai giornalisti che hanno posto delle domande chiedendo risposte di assoluto interesse pubblico, che i cittadini attendono da settimane e che nessuno si è mai degnato di fornire.
Un evidente problema, dato che in vaste aree del Paese, checché ne dica Conte, la situazione reale, più che essere incerta o “di moderato rischio”, è ormai allo sbando: senza capacità diagnostica, senza effettuare tamponi ai sospetti casi Covid e ai loro contatti certi, senza un piano adeguato per la medicina territoriale e relative risorse economiche, senza disporre dei necessari reagenti e di Dpi in quantità sufficiente per gran parte della popolazione, la ripartenza non può certo dirsi sicura, per nulla. E la dimostrazione che questa strategia è fallimentare è visibile in tutto il suo fulgido splendore in Lombardia, dove il tracciamento dei contagi fa acqua da tutte le parti, la mobilità è ripartita da settimane, e la curva dei contagi è più simile a un’altalena che alla discesa di un plateau, rendendo la situazione lombarda un unicum nel panorama non solo italiano ma addirittura globale. E in effetti Conte ha riconosciuto la pericolosità della situazione lombarda e ha consigliato ai residenti di stare molto attenti e di confidare nel principio di autoprotezione, ma ha anche sottolineato che, allo stato attuale, non si può vietare alla Lombardia di riaprire.
Insomma, stando alle fumose e piccate risposte di Conte, sembra che, dopo mesi di lockdown e di privazione di ogni tipo di libertà per un’emergenza sanitaria più che concreta, la mirabolante strategia del Governo consista nell’applicare lo sbracato modello lombardo a tutto il Paese e sperare che la Fase 2 vada bene, non rilevando alcuna carenza rispetto alla concreta implementazione del piano di monitoraggio sanitario sul territorio nazionale. Un “Armiamoci e partite”, praticamente, né più né meno. E se non dovesse andar bene? Sarà colpa dei cittadini.
Ph: Governo.it
Non è detto che per qualsiasi disgrazia ci debbano essere delle colpe… Le regioni di destra e confindustria in queste settimane hanno vigliaccamente attaccato il governo chiedendo riaperture totali che era evidente lo avrebbero messo in difficoltà, dovendo scegliere tra prudenza e rischio, garantendisi in ogni caso di poterlo attaccare…Obiettivamente il governo ha trovato una sintesi ragionevole ed è chiaro che non può mettere una guardia a ciascun cittadino… Non si tratta di accollarsi colpe, ma buonsenso e responsabilità.